LA POLITICA: coagulante o solvente sociale?

La Politica, col la P maiuscola, dovrebbe essere finalizzata al perseguimento del bene comune.

Ed è perlomeno ovvio pensare che il  fine ultimo di essa dovrebbe essere il benessere della comunità amministrata.

Ma si può pensare di ben amministrare una comunità alimentando divisioni e separazioni? Sicuramente no!

Da un pò di tempo penso, e questo pensiero è comune a tante altre persone, di non aver mai visto una comunità così divisa, come se ci trovassimo sempre nel pieno di una campagna elettorale che non ha mai fine.

Ripensando alle parole del Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, all’indomani della vittoria alle elezioni: ” sarò il Sindaco di tutti i Milanesi…”; non posso fare a meno di paragonarle a quelle “non dette”  o ai comportamenti orientati in tutt’altra direzione di  altri rappresentanti. Ritengo che esse dovrebbero indurre ad una riflessione seria tutti quanti, in particolare coloro che hanno responsabilità di governo della cosa pubblica, a tutti i livelli.  Ma purtroppo così non è.

E’ sotto gli occhi di tutti quello che sta avvenendo nella nostra realtà nazionale, dove non si riesce a trovare il bandolo della matassa per arrivare a dare un Governo al Paese, segnale questo di quella immaturità politica che caratterizza ancora la nostra democrazia,  ancora molto lontana dal poter essere definita una democrazia matura o dell’alternanza.

Sintomo evidente di questa immaturità è il continuo atteggiamento degli attori politici teso a demonizzare l’avversario.

Invece di usare la politica come strumento di coesione e di armonizzazione, per il ben-essere della comunità, (come dicevo all’inizio), la si usa  per esasperare le situazioni negative, enfatizzando gli elementi di divisione, in un continuo rincorrersi di ripicche e vendette.

Anche nella  nostra realtà paesana assistiamo a questo malcostume dell’uso della politica non come coagulante bensì come solvente sociale.

Siamo vittime di una sorta di sindrome di “Peter Pan”, di infantilismo permanente, che porta a non avere un atteggiamento finalizzato alla equità e alla giustizia sociale nei comportamenti e nelle decisioni di chi dovrebbe sovrintendere alla gestione della cosa pubblica.

Basti pensare, solo per fare qualche esempio, a certi spostamenti o cambio di mansioni avvenuti all’interno dell’apparato burocratico comunale, per la maggior parte dei casi posti in essere non nell’ottica di una maggiore efficienza-efficacia organizzativa, ma seguendo la logica, più o meno esplicita, della ripicca-vendetta  o del compiacimento per i comportamenti, rispettivamente, non in linea  o in consonanza con i voleri del “Principe”.

Diceva Andreotti:  per i nemici le leggi si “applicano”, per gli amici si “interpretano”…

Con una battuta si vuole dare il senso di quanto prima detto.

Ed è con cognizione di causa che dico questo.

E aggiungo, con rammarico, che l’arroganza è arrivata a tal punto da interferire nelle relazioni amicali.

Penso a certe belle amicizie di vecchia data inficiate, messe in discussione o nella migliore delle ipotesi “ridimensionate” nella loro essenza a causa di un certo modo, pervasivo, insinuante di intendere l’agire politico, che addirittura induce taluno a pensare di essere legittimato a porre diktat nelle relazioni interpersonali mettendone a repentaglio la bontà e il valore.

La campagna elettorale permanente, appunto, di cui dicevo prima…

Ma se è vero che tutto è politica, è altrettanto vero che la politica non è tutto.

Giuseppe Scaffidi Fonti