LA FIDUCIA E’ QUESTIONE DI RESPONSABILITA’

parlamento_italianoSono giorni fondamentali ma difficili per il futuro della nostra Repubblica. Negli ultimi vent’anni non si era mai affrontata una situazione così ingarbugliata, con l’incognita post-elettorale di quale debba essere il nuovo governo per questo Paese.

Ci eravamo abituati ad una situazione in cui la formazione del governo fosse una mera formalità, con coalizioni già formate prima del voto e addirittura il nome del Presidente del Consiglio inserito nei simboli elettorali; semmai si dibatteva e scommetteva sulla durata del governo; ma fin qui, ad oggi, pare lontanissima la formazione di un governo per questo Paese.

Il fatto straordinario, che ha scompaginato questo schema ormai storico, è che si è affermato un Movimento, quello di Beppe Grillo, che ha raggiunto un risultato addirittura superiore a quello ottenuto da Forza Italia nel 1994, che aveva firmato il suo ingresso nel panorama politico con un 21% di preferenze, mentre il M5S, alla sua “premiere” alle Politiche, ha raggiunto addirittura il 25,5%, affermandosi, alla Camera, come il Primo partito italiano.

Come a tutti sin dal lunedì notte è parso chiaro, i voti al Senato dei grillini sono fondamentali al PD per ottenere la fiducia in questo ramo del Parlamento; è parso chiaro a tutti, meno proprio ai primi eletti del Movimento intervistati la sera stessa, che ai giornalisti che chiedevano loro se avrebbero votato la fiducia a Palazzo Madama rispondevano “vedremo punto per punto, sulle varie proposte di legge, applicheremo il modello Sicilia”.

La risposta è tecnicamente scorretta e denota un certo deficit di preparazione Costituzionale, scusabile (forse) per un qualsiasi eletto di un qualsiasi altro partito (in quanto copia della Costituzione viene consegnata a Deputati e Senatori solo il giorno dell’insediamento in Parlamento), meno scusabile per chi fa della Rete il proprio Totem di scienza e conoscenza.

Da una facile ricerca su internet infatti, è facile imbattersi nell’art. 94 Cost., il quale sancisce che il governo, entro dieci giorni dalla sua formazione, deve presentarsi alle Camere e deve ottenerne la fiducia.

Una fiducia che non si basa su un provvedimento di legge (come la “questione di fiducia”, che invece è collegata ad una legge che il Governo ritiene fondamentale per il proprio operato), ma su un generale accordo politico che, ovviamente, è formalizzato in un comune programma legislativo.

Qualora la fiducia manchi, il governo deve dimettersi e il Presidente della Repubblica ricercare altri soggetti politici che possano ottenere una maggioranza nei due rami del Parlamento; qualora ciò appaia impossibile, scioglie le Camere ed indice nuove elezioni.

Quest’ultima possibilità è comunque esclusa in quanto il Presidente Napolitano si trova negli ultimi sei mesi del suo mandato e non ha il potere di sciogliere le Camere; prima, dunque, il Parlamento dovrebbe riunirsi ed eleggere un nuovo Presidente della Repubblica solo per dargli la possibilità di indire nuove elezioni: mesi e mesi di stallo in un periodo economico così difficile ci condannerebbero facilmente ad una crisi economica da cui non sarebbe più possibile uscire.

Questo scenario appare talmente tetro che i primi commentatori nei salotti tv e alcuni appartenenti al PD il lunedì post-elezioni facevano aperture ai grillini su alcuni punti in comune (conflitto d’interesse, dimezzamento del numero dei Parlamentari e altro), sicuri del fatto che quando sarebbe stato Grillo a parlare avrebbe corretto il tiro dei Parlamentari grillini e delle loro risposte tecnicamente senza senso ( e aggiungo, politicamente catastrofiche) sulla fiducia al nuovo governo.

Martedì arrivano le prime docce fredde, freddissime: Beppe Grillo non vuole saperne di votare la fiducia al PD o a qualsiasi altro partito che si presenti alle Camere per formare un governo; non ci si allea con i vecchi partiti, bisogna mandarli tutti a casa.

Il senso politico di questo rifiuto alla mano tesa dallo stesso Bersani sembra chiaro: spingere il PD dal PDL ( che infatti attende tranquillo, tant’è che lo stesso segretario Alfano ha dichiarato “tanto alla fine verranno da noi”) per poter poi gridare all’inciucio, per inveire contro la casta, perché è molto più facile criticare stando alla finestra che scendere in campo e provare a fare qualcosa di concreto; far montare nella testa della gente che finalmente il PD e il PDL hanno rivelato la loro natura, due facce della stessa medaglia, complici di inciuci nascosti durati vent’anni; poi, sperare che insieme i due vecchi partiti vengano alle mani, andare a rivotare fra qualche mese e far crescere ancora il mare di consensi che ha investito l’M5S.

Ma questa è una strada rischiosa, rischiosissima: sia per il Paese, che si troverebbe guidato da un “governissimo” pieno di contraddizioni, che non riuscirebbe a fare le necessarie riforme strutturali di cui questo Paese ha bisogno (vedi governissimo di Monti, che non è riuscito a portare avanti neanche la riforma elettorale); sia per l’M5S stesso, perché va incontro a due incognite: Renzi che potrebbe finalmente prendersi il PD, visto i risultati deludenti di Bersani e una certa insoddisfazione che sta montando dalla base elettorale del Movimento, poichè sono molti quelli che vorrebbero un accordo con il PD per attuare il programma a 5 stelle.

Probabilmente lo stesso Beppe Grillo avrebbe preferito prendere meno voti alle elezioni o, molto più probabilmente, era convinto che il PD avrebbe stravinto questa tornata elettorale e non avrebbe avuto bisogno di bussare alla sua porta per chiedergli aiuto nella formazione di un governo.

Ma se è vero che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, credo sia il momento, per il Movimento 5 stelle, di prenderne atto: non è più possibile attuare una strategia che si basi sul mero controllo delle altre forze politiche e sulla continua e dura contrapposizione. Il Movimento dovrebbe prendere un accordo formale con il PD sulla base di pochi ma fondamentali punti: una nuova legge elettorale che cancelli il porcellum, il dimezzamento del numero dei parlamentari e delle loro indennità, l’abolizione delle Province e una legge sul conflitto di interessi; tutto ciò da realizzarsi nel primo anno di legislatura (essendoci di mezzo delle leggi Costituzionali, è inverosimile, come prospettato da alcuni, che si debbano realizzare nei primi cento giorni di governo). Il PD si impegnerebbe a proporre queste leggi, il Movimento a votare la fiducia al Senato tra 10 giorni e a far mancare l’appoggio al PD ogni qualvolta esca dal seminato dei punti stabiliti nel programma comune: e se lungo la strada, per preservare poltrone, privilegi e accordi sottobanco, dovessero emergere “strane” sponde tra PD, PDL e lista Monti, Grillo potrebbe legittimamente gridare a pieni polmoni il suo sdegno come ha sempre fatto: ma con il merito di essersi assunto la responsabilità politica di aver quanto meno provato a tenere le redini dello Stato per guidarlo nella giusta direzione, invece di fare solo ed esclusivamente l’illustre passeggero criticone.

Gli italiani dovrebbero augurarsi un siffatto accordo e spero che Grillo presti attenzione alle molte istanze che gli provengono dalla sua base elettorale e che spingono per un’alleanza di governo basata sui punti fondamentali che ho sopra indicato; poiché, anche se questo ipotetico governo PD-M5S dovesse durare pochi mesi o un anno, se riuscisse ad attuare la riforma elettorale, il dimezzamento dei parlamentari e dei costi della politica (tra i quali i rimborsi elettorali) sarebbe comunque un successo straordinario per il Movimento, ma soprattutto per 60 milioni di italiani.

Carlo Natoli